Hoi Han
Si riparte col bus alla volta di Hanoi, attraversiamo ancora una volta, distese di riso, di banani, di fiori di loto e di cannabis. Le mondine sono al lavoro; questa volta ci fermiamo e rubo alcune immagini di vita lavorativa. Mi sorridono e una di loro si avvicina e mi fa segno che vuol vedere la foto: ci comprendiamo con un sorriso.
Con una deviazione visitiamo la pagoda di But Trap del XVII secolo: tutti siamo desiderosi di ammirare la statua dai mille occhi e dalle mille bracce. E’ tutto in restauro ed è terribile scoprire come si distrugge il vecchio e si costruisce il nuovo. Riusciamo ad ammirare qualche interno, dove ci sono dei monaci buddisti che sistemano delle offerte, e all’esterno, l’imponente torre di Bao Nghiem.
Ancora tombe nei campi di riso. I cari rimangono nei luoghi, dove hanno lavorato la terra: impressionante, ma nello stesso tempo traspare il legame affettivo che va oltre la vita. Tra queste tombe c’è sempre vita, una vita fatta di duro lavoro. Ci fermiamo in un grande laboratorio di prodotti artigianali. Un luogo particolare in quanto gli artisti sono vittime della guerra e portano addosso i segni di una natura a loro ostile. E’ qui che compriamo una maschera e il dipinto di un Buddha coloratissimo.
In serata, con un volo di linea, raggiungiamo Hoi Han, una cittadina commerciale aperta al mondo.
Ci troviamo nel Vietnam centrale, Hoi Han è una pittoresca cittadina che si affaccia sul fiume Thu Bon. Facciamo un’escursione in barca sul fiume dove i pescatori, con il lancio delle loro reti, riescono a trasmettere sentimenti antichi e romantici. Bellissimo il lancio della rete arancio del finto pescatore: un vero sciò. Altrettanto interessante vedere il modo in cui vivono gli abitanti del luogo lungo le rive del fiume, punto nevralgico della città, tra le strette case. Gustare il sapore del luogo senza essere invadenti: occorre riflettere sulla nostra vita non sulla loro.
In Hoi Han occidente e oriente affondano le loro radici nel medioevo, quando qui, in un fiorente porto, attraccavano navi provenienti da tutto il mondo in particolare da Cina e Giappone.
Percorrere a piedi il suo centro storico, patrimonio dell’umanità, ricco di tantissime lanterne colorate, ci porta indietro nel tempo nel regno dei Champa, popolazione induista la cui capitale spirituale era My Son che visiteremo nel pomeriggio. Il suo centro storico, placido e armonioso, è ricco di viottoli tra le strette casette: nessun grattacielo occupa la visuale. Il simbolo della città è sicuramente il ponte coperto giapponese del XVII secolo; alquanto spettacolare è l’interno con i piccoli luoghi di culto alle numerose divinità. Visitiamo, subito dopo, una dimora tradizionale di un mercante del luogo: d’obbligo il the che viene offerto. Gli edifici storici sono sopravvissuti alle guerre, appaiono bellissimi con le tegole dei loro tetti color mattone disposte ordinatamente alternando una concava e una convessa (Yin e Yang). Sono ben in vista gli occhi delle porte: dei legni tondeggianti che tengono lontane le disgrazie. Con qualche amico del gruppo, desiderosi di vedere altro ci imbattiamo in una bottega nel cui interno c’è un antico teatro delle marionette in acqua.
Eccoci a My Son, il sito archeologico più suggestivo del Vietnam situato in una solitaria e magica valle immersa nel verde della foresta tropicale che, con le sue grandi torri, simbolo della maestosità degli dei, testimonia la presenza dell’etnia Champa nel paese che, in questi luoghi, ha vissuto dal IV al XV secolo. Le torri, dove sono abbastanza conservate delle sculture in pietra, sono divise in tre zone: la base rappresenta la terra, la parte centrale il mondo spirituale e quella superiore il regno tra cielo e terra. Qui, ahimè, c’è l’impronta dei bombardamenti americani: il sito era la base dei viet cong.
In serata, dal bellissimo hotel osserviamo un pescatore che depone nell’acqua delle lanterne di carta che seguono il corso del fiume trascinando i sogni più reconditi di ognuno di noi. Che poesia!