A circa quindici Km da Cusco ci troviamo nella valle del fiume Urubamba, la valle sacra, dall’andamento tortuoso e ondulante dove si coltivava il mais per i sovrani Incas e per la classe sacerdotale. Passiamo da affascinanti villaggi andini e in uno di questi facciamo una sosta. Ci accolgono con il loro sorriso delle donne dai coloratissimi vestiti che lavorano la lana al telaio e ai ferri; più in là, in un recinto, ci sono lama e alpaca che mangiano erba con molta avidità. E’ qui che beviamo la chicha morada, una bevanda ricavata dal mais viola scuro: una delizia per i nostri palati.
Passiamo dalla Cordigliera orientale delle Ande, al di là c’è l’Amazzonia con il suo polmone verde e, nella mattinata, arriviamo a Pisac. Qui visitiamo il mercato indigeno ricco di prodotti artigianali, manufatti coloratissimi e variopinta frutta esotica. Dopo aver pranzato visitiamo le rovine di Pisac situate su di un colle dai ripidi fianchi terrazzati per le coltivazioni da dove ammiriamo un panorama mozzafiato sulla vallata sottostante. Anche qui c’è “la casa del Dio Sole” dove si svolgevano i riti religiosi e lo stile Inca è inconfondibile: pietre tagliate, levigate e incastrate perfettamente, mura inclinate e finestre a trapezio. Edifici stabili che hanno resistito a terremoti di varie magnitudo: le pietre oscillavano, durante la scossa tellurica, ma poi ritornavano alla loro posizione originale. Gli Incas costruivano secondo criteri sismici?
Ora su per la fortezza di Ollantaytambo tra correnti di polvere che aumenta man mano che saliamo; è da queste rovine che in lontananza, su una roccia, osserviamo il profilo di una donna opera dell’erosione naturale. La guida ci spiega che ha anche un profondo significato religioso collegato con la posizione del sole. Ci fermiamo stanchi ma appagati alla fontana Princesa e ci divertiamo a cambiare con un dito la direzione dell’acqua: non vogliamo dare volutamente una spiegazione scientifica ma, ci lasciamo, come per incanto, travolgere dall’atmosfera magica del posto. Dormiamo a Urubumba e dopo cena cadiamo in un profondo letargo.
IV giorno
Nel primo mattino, dalla stazione di Ollanta, con un treno raggiungiamo Aguas Caliente; costeggiamo, lungo la gola, il fiume Vilcanota e la guida ci fa notare alcuni sentieri Incas, molti dei quali impervi, dove ci sono alcuni avventurieri in cammino verso la cittadella. Arrivati, un pulmino ci porta alle rovine della “Città Perduta” a 2350 m di altitudine. Con la costruzione di Machu Picchu l’uomo ha lanciato una grande sfida a madre natura: questo ”storico santuario” è stato costruito sul dorso di uno sperone roccioso. E’ circondato da montagne sulle cui vette gli Incas hanno costruito i loro altari per le cerimonie ed è fra le sette meraviglie del
mondo, ad alto contenuto spirituale e paesaggistico. È sicuramente quella più intrigante: la zona è geograficamente magica, siamo nel punto d’incontro delle Ande con l’Amazzonia.
La scoperta della città si deve ad un americano: Hiram Bingham nel 1911; questi la trovò nascosta in un’immensa foresta inaccessibile e si pensa che, all’epoca dell’invasione spagnola, probabilmente era già stata abbandonata ma, si ignorano i veri motivi. La città è divisa in tre zone: quella agricola con i suoi terrazzamenti per le coltivazioni, quella urbana dove abitavano gli agricoltori e quella dedicata al culto divino che si trova in cima alla collina. Ci troviamo in un vero paradiso, una città patrimonio culturale dell’umanità che, con le sue piazze, le sue costruzioni pietra su pietra incastrate, i suoi acquedotti, i suoi templi è una testimonianza di tecniche ingegneristiche che, ancora oggi, non si riescono a spiegare; di sicuro i vari miti sugli uccelli che ammorbidivano le pietre e sulla pianta stregata che riusciva a fondere la roccia sono frutto solo dell’ingenuità popolare.