Come Auschwitz è un luogo di schiavitù e di morte: una storia difficile da accettare. L’olocausto è durato dodici anni, la tratta negriera tre secoli dal XVI al XIX secolo. Entrare nelle celle claustrofobiche e nelle sale di attesa per il fatale imbarco è un’esperienza indescrivibile. Non sono serena, ho la sensazione di sentire le grida di dolore di uomini, donne e bambini impotenti difronte ai loro ”padroni”. È un luogo teatro di un’eterna lotta tra luce e tenebre, tra bene e male…non si può rimanere insensibili e non bisogna mai dimenticare ciò che è stato.
Oggi Gorèe appare come un’isola felice dai pittoreschi paesaggi e dal sapore mediterraneo, un’isola che ha conservato il suo aspetto coloniale. Si respira un’atmosfera tranquilla in contrasto con la sua terribile storia per cui è veramente difficile pensare che, in passato, è stata luogo di ingiustizie e di tanto, tanto dolore.
Camminare nell’isola tra le strade acciottolate e le case dai colori pastello con i tetti rossi sembra che l’orrore del passato, tra gli abitanti, è sfumato. E’, comunque, un luogo di pellegrinaggio che invita alla riflessione. Ricordare…per non dimenticare. Non c’è e non ci dovrà essere mai una fine.
Col nostro pullman facciamo un giro nella città di Dakar, la città che si estende nella parte meridionale della penisola di Capo Verde, sull’oceano atlantico. Appare ai miei occhi molto caotica e cosmopolita: una metropoli che ha conservato la sua impronta coloniale, la più europea delle città africane con i suoi due milioni di abitanti. Il punto principale della città è piazza Indipendenza, centro propulsore della cultura africana anche se il cuore pulsante della città è nella medina dove c’è la grande Moschea col suo minareto, inaugurata nel 1964.