IV giorno
Partiamo alla volta di Otavolo dove ci immergeremo nel coloratissimo mercato indigeno. La cenere vulcanica rende la terra poco fertile per cui intorno a noi ci sono solo tanti cactus e acacie ad ombrello in grado di catturare la poca umidità presente nel terreno. In questo tratto della panamericana, quella strada che si estende lungo la costa pacifica dall’Alaska al Cile, solo quando scorgiamo i fiumi la vegetazione diventa rigogliosa: in lontananza delle bianche nuvole sembrano accarezzare la cordigliera. Dopo aver fatto una sosta per il caffè e gustato dei piacevoli biscottini raggiungiamo Otavolo, famosa per il suo originale e pittoresco mercato: una vera e propria festa di colori e di suoni.
Questi indios di lingua quechua, che vivono di prodotti artigianali, hanno conservato la loro identità e indossano nella vita di tutti i giorni i loro abiti tradizionali: le donne portano una camicia bianca tutta ricamata, uno scialle e una gonna nera e si ornano con numerose collane, simbolo della fertilità, e con braccialetti di madreperla mentre gli uomini hanno camicia e pantaloni bianchi e poncho blu.Uomini e donne hanno la caratteristica treccia lunga e un cappello di feltro in testa. I campesinos e le loro mercanzie mi incantano, riescono a coinvolgermi emotivamente: queste esplosioni di colori sono delle terapie meravigliose per gli occhi e per il cuore. E’ qui che compro tartarughe, sciarpe, arazzi,…, vari oggetti di paglia,… Non mercanteggio seguo il consiglio di Giovanni: in questi posti meglio lasciare qualche dollaro in più. Dopo aver pranzato in un’hacienda caratteristica e visitato una casa dove sia le donne che gli uomini tessono al telaio quei prodotti che poi venderanno al mercato, proseguiamo il nostro viaggio attraverso tundre sconfinate e ci fermiamo al lago San Paolo, ai piedi del vulcano Imbabura, ricco di canneti e circondato da boschi di eucalipti e di pini. E’ qui che i nativi pescano la mattina presto con le loro canoe e le donne, durante il giorno, lavano i loro vestiti. Veniamo accolti da due ragazze indios con sorrisi e con un canto armonioso: è sicuramente uno di quelli che si odono nei terrazzamenti agricoli alle pendici dei vulcani per ringraziare la montagna amica che non ha fatto scendere sulle piantagioni la sua lava incandescente. E’ qui che la guida racconta alcune leggende legate ai vulcani, ma io non ascolto: quel silenzio è incredibile, è sinonimo di pace interiore. A Quito, trascorriamo una piacevole serata con i nostri amici in un ristorante tipico tra chiacchiere e musiche andine. Non dimenticheremo mai i musicisti che, in tipici abiti, suonano e cantano e nello stesso tempo seguono, in televisione, la partita Ecuador – Francia: il loro ritmo musicale segue l’andamento del pallone.
Che serata! Davvero indimenticabile.
V giorno
Prima di lasciare Quito visitiamo il laboratorio Yanapi e osserviamo il processo di lavorazione a mano dei cappelli di feltro e rimaniamo esterrefatti davanti alle norme di sicurezza quasi inesistenti.
Volgiamo per l’ultima volta lo sguardo verso quella Madonna alata con l’augurio che possa placare l’ira dei vulcani e proseguiamo il nostro viaggio. Ci troviamo nella via dei vulcani, molti dei quali attivi, in quel tratto della panamericana che collega Quito a Cuenca, all’interno di una valle compresa tra due catene montuose parallele: la cordigliera occidentale e quella orientale. Ecco davanti a noi il Cotopaxi alto quasi 6000 metri con i suoi ghiacciai perenni e con i suoi pini californiani; appare tra le nuvole nella sua maestosità, un mostro apparentemente innocuo che in un attimo scompare tra una coltre di nuvole bianche. Attraversiamo un’interminabile pista dissestata che ci porta al Parco Nazionale: sotto i nostri piedi il punto più caldo e attivo del pianeta. Ci fermiamo nei pressi della laguna Limpiopungo, di origine glaciale, la cui bellezza selvaggia è veramente unica: le sue acque limpide sono circondate da piccole colline che rendono il paesaggio paradisiaco.